Nato a Praga il 04/09/1934, Jan Švankmajer è considerabile un’artista poliedrico; cineasta, pittore e scultore, il ceco fa capo al movimento surrealista praghese fin dal 1970, e le sue opere sono profondamente intrise di quella dimensione onirica molto cara al surrealismo abbracciato oltre la cortina di ferro. Nei suoi corti e lungometraggi, Švankmajer non si limita soltanto a far emergere l’appartenenza al surrealismo ma lo mescola sapientemente con quel manierismo ceco fatto di miti, leggende, oggetti particolari che, fin dalla prima metà del ‘600, ha dato vita ad una tradizione cui lo stesso Švankmajer non si è sottratto.
Gli oggetti quotidiani, i più disparati (dato questo suo interesse quasi morboso) diventano i protagonisti di molti dei suoi primi cortometraggi – Poslední trik pana Schwarzevaldea a pana Edgara (L’ultimo trucco del signor Schwarzvald e del signor Edgar) del 1964, Johann Sebastian Bach: Fantasia G-moll (Johann Sebastian Bach: Fantasia in Sol minore), Hra s kameny (Gioco con le pietre) ambedue del 1965 – dove vengono ripresi fin nel minimo dettaglio, in cui suoni e musica ne sottolineano la fisicità, la più gretta e povera materialità che viene ripresa ed enfatizzata da un montaggio dal ritmo serrato .
Il primo lungometraggio e oltre
Pur non abbandonando i corti – la cui produzione si fa comunque diradata – nel 1987 approda al lungometraggio con Alice (Neco z Alenky); basato sul famoso romanzo di Lewis Carroll.
Accorpando in una sola opera alcuni episodi tratti da Alice nel Paese delle Meraviglie e dal successivo Alice attraverso lo specchio, i toni leggeri e buffi (pur con una morale di fondo) dei romanzi, sono sostituiti da sfumature più cupe, e la dimensione onirica prende il sopravvento, l’opera del ceco è così fortemente onirica da non farci mai capire realmente se Alice stia vivendo in un sogno o meno. I pupazzi animati, l’aggiunta di alcuni momenti non presenti in Carroll, la totale mancanza di dialoghi e il continuo uso del discorso indiretto da parte della protagonista, ne esaltano i toni surrealisti.
Da quel momento in poi Jan Švankmajer, continuerà a fare soprattutto degli oggetti, dello scarto, dell’onirico e del surreale il leit-motiv di tutte le sue opere – Lekce Faust (Faust) del 1994, Šileny (Pazzia) del 2005 – e sempre quello stare minuziosamente, ossessivamente sugli oggetti, sui sogni rendendoli protagonisti dei suoi film, porta il praghese a mostrare come, soprattutto questi ultimi possano dare un nuovo senso alla vita.
Ciao e al prossimo Caffè,
Il Barista Animato
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