La vetta degli dei è un film d’animazione di quest’anno diretto da Patrick Imbert disponibile su Netflix (dal 30/11) ed è un film che per quello che si può vedere (al di là della storia in sé) andava distribuito al cinema anche in Italia; nessun televisore per quanto grande (un PC a maggior ragione), può rendere giustizia al lavoro della fotografia e alla bellezza realizzativa degli scenari che vediamo in questo racconto della durata di 90 minuti.
Qualche parola sulla trama

La trama de La vetta degli dei, (a voi il trailer) senza rischiare di darvi alcuna pericolosa anticipazione, è presto detta: nel 1994 il giornalista Makoto Fukamachi si imbatte per caso in un leggendario alpinista, Habu Joji che si porta appresso una vecchia macchina fotografica. Il giornalista la riconosce come quella appartenuta a George Mallory che assieme a Andrew Irvine, tentò di scalare l’Everest nel lontano 1924 quando entrambi trovarono però la morte, lasciando il dubbio se effettivamente – vista la posizione del corpo di Mallory, l’unico dei due ad essere ritrovato – i due fossero riusciti a completare la scalata morendo durante la discesa. Fukamachi riesce a convincere il direttore del suo giornale a fare delle ricerche su Joji e riuscendo, dopo, averlo trovato in un villaggio del Nepal, ad accompagnarlo nel suo tentativo di scalata dell’Everest in solitaria e senza ossigeno.
Questo è il succo della trama e, come avete potuto vedere dal trailer al link sopra, non vi ho detto niente di “pericoloso” che possa rovinarvi il piacere della visione.
Il mio La vetta degli dei

Il film di Patrick Imbert è un gran bel lavoro che ha saputo miscelare al meglio una solida base di fatti realmente accaduti (speculazioni comprese) ad una storia di fantasia; il film è raccontato come una sorta di reportage giornalistico, praticamente per buona parte di tutto il film. Attraverso il lavoro di ricerca e le interviste di Fukamachi riguardo la vita di Habu Joji, veniamo messi al corrente di cosa sia accaduto all’alpinista, delle sue scalate, del suo carattere e di una tragedia che ne ha sconvolto la vita. Questo modo di raccontare è, personalmente incisivo e aiuta a mantenere alta l’attenzione quando il film non è concitato è ha molti momenti di largo respiro e di attese lunghe.
Alpinismo e vette i veri protagonisti
La vetta degli dei infatti, più che una storia fatta di parole e dialoghi è un racconto in cui a farla da padrone sono le immagini, gli scenari, le azioni; credo che Imbert sia riuscito perfettamente a trasportare lo spirito alpinistico in un film d’animazione e una grossa mano la danno proprio i lunghi silenzi – attutiti ed impreziositi dalla colonna sonora di Amine Bouhafa – e le splendide immagini delle vette che i nostri protagonisti affrontano.
Da appassionato escursionista ho apprezzato le numerose sequenze di alpinismo, sicuramente le più curate e quelle cui è andata la maggior attenzione, i bellissimi campi medi e lunghi delle catene montuose hanno poi fatto il resto dando ad un film in cui sostanzialmente succede pochissimo, un’ininterrotta attenzione di 90 minuti.

Il conto
Che siate degli amanti della montagna e appassionati alpinisti, degli amanti dei film d’animazione o semplicemente delle persone che vogliano godersi un film che scorre tutto sommato tranquillo (ma non pacifico) fino ad arrivare ai titoli di coda, La vetta degli dei è il film che fa al caso vostro, una gioia per gli occhi. È nella lunga lista dei possibili candidati a miglior film d’animazione; difficile che riesca ad entrare nella definitiva cinquina visto l’alto numero di contendenti (e la storia della categoria negli ultimi 20 anni) ma potrebbe essere una bella sorpresa vederlo nella lista finale.
Ciao e al prossimo caffè,
Il Barista Animato
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