
In Ride your wave, la giovane Hinako Mukaimizu si trasferisce in una città sul mare per studiare all’università e godersi la sua più grande passione; il surf. Una sera, dal vicino palazzo in ristrutturazione, un gruppo di giovani fa esplodere illegalmente dei fuochi d’artificio che finiscono per causare un pericoloso incendio nel palazzo dove vive Hinako. A salvare la ragazza è Minato Hinageshi, un giovane pompiere; dopo averla salvata assieme alla tavola da surf che la ragazza ha voluto salvare ad ogni costo, accetta l’invito di andare a surfare con la ragazza. Dall’iniziale amicizia si passa in poco tempo ad una travolgente storia d’amore che cresce man mano che Minato impara a stare fra le onde sulla tavola.

In preda alla disperazione, la ragazza si trasferisce lontano dal mare volendo dimenticare la tragedia e non riuscendo a dimenticare Minato. Un giorno, canticchiando la canzone che lei e il ragazzo cantavano assieme, scopre che Minato riesce ad apparirle nell’acqua; da quel giorno fa in modo di portarselo sempre dietro o in una borraccia o in una focena gonfiabile riempita d’acqua.
Inizia cosi per Hinako un periodo in cui è evidentemente destabilizzata e slacciata dalla vita “reale”. Proveranno a “centrarla” nuovamente: Yoko, sorella minore di Minato, e Wasabi, l’allievo pompiere del ragazzo che le staranno vicino in vario modo e sarà proprio grazie a loro che Hinako potrà trovare il modo di andare avanti con la sua vita. Ci riuscirà? Lascerà andare Minato e tornerà a vivere veramente? Per scoprirlo non vi resta che guardarvi dall’inizio alla fine Ride your wave (eccovi servito il trailer).
Le cose procedono sempre meglio finché, in una notte di inverno, Minato esce in mare in solitaria e vi trova la morte. Hinako, che aveva appuntamento con il ragazzo sulla spiaggia, lo raggiunge quando ormai non può far altro che constatarne il decesso.
Il mio Ride your wave
Il film diretto da Masaaki Yuasa (già Key Animator per I miei vicini Yamada) e scritto da Reiko Yoshida è un racconto in cui gli eventi principali e i protagonisti dai caratteri parossistici (tutti e quattro), spiccano su una storia sostanzialmente anonima. Se escludiamo l’evento che mette in moto la trama del film – la morte di Minato – e altri due momenti importanti per la storia, il resto galleggia in un mare di eccessiva tranquillità per i novantasei minuti del film.
Altro problema in Ride your wave sono i personaggi principali, i cui caratteri sono eccessivamente complementari fra loro; ciò che manca all’uno lo troviamo eccessivamente nell’altro – a meno che non vi siano aspetti in comune, cosa comprensibile e tutto sommato ben fatta – e nonostante si possa capire che il dolore della nostra protagonista Hinako Shimizu possa portare a determinate conseguenze, il suo personaggio risulta quasi fastidioso fin dall’inizio e le cose non migliorano durante il prosieguo del film.

Ci sono però due momenti sicuramente interessanti che alzano il generale livello di un’opera che non mi ha entusiasmato granché. Il primo momento lo abbiamo quando Hinako insegna a Minato a stare sulla tavola da surf; una scena davvero godibile, il secondo momento è la lunga sequenza in cui Hinako e Minato si conoscono sempre meglio fino ad innamorarsi; è ben scritta e ben presentata (pur con l’eccessivo zucchero e una canzone un po’ troppo mielosa che diventa il leit motiv dell’intera storia) tanto da essere, a detta di chi scrive, il momento meglio riuscito del film. Il problema è che entrambi i momenti sono tutti nella prima metà del racconto, lasciando alla seconda metà sostanzialmente solo il romanticismo e una scena finale con un buon climax che però, non alza in maniera considerevole il ritmo della storia.
Il conto
Ride your wave, si è portato a casa alcuni premi vinti in altrettanti concorsi cui ha partecipato, ricordiamo qui quello per il miglior lungometraggio animato al Sitges – Festival internazionale del cinema fantastico della Catalogna nel 2019.
Il film di Yuasa potrebbe essere particolarmente apprezzato dalle anime più romantiche che incapperanno in questo articolo, quindi per loro è davvero consigliato. Per tutti gli altri può valere il detto: “Una volta per uno non fa male a nessuno“.
Ciao e al prossimo caffè,
Il Barista Animato
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